prima pagina pagina precedente


RICORDI
Dal 25 luglio alla Liberazione
Rosella Stucchi Isman sul  libro "Giocavamo alla guerra" - Memorie di giovani monzesi


Comando generale CVL
Milano 5 maggio 1945. Sfila il comando generale CVL:
da sinistra G.B.Stucchi (papà di Rosella), Parri, Cadorna, Longo, Mattei

Il mio ricordo più vivo della guerra risale al 25 luglio 1943. Non avevo ancora otto anni ed ero sfollata con mamma, zie e cugini a San Pellegrino Terme. Ricordo la gente per le strade che inneggiava e distruggeva immagini del Duce. Non capivo quegli atteggiamenti violenti e ne ero rimasta molto colpita.

Tre mesi prima avevo riabbracciato il mio papà di ritorno dalla campagna di Russia con una medaglia al valore per la battaglia di Nikolaevka: mi ero presentata alla stazione a riceverlo con le medaglie che anch'io avevo meritato a scuola (seconda elementare).

Io e la mamma rimanemmo in val Brembana, dopo San Pellegrino a San Giovanni Bianco, fino all'estate del 1944. A San Pellegrino avevo frequentato la seconda e quasi tutta la terza in una monoaula pluriclasse dalle suore Marcelline. Poi i tedeschi avevano requisito il nostro alloggio e noi, con zie e cugini, ci eravamo trasferite a Piazzo, frazione di San Giovanni Bianco, da dove si percorrevano venti minuti di mulattiera per andare a scuola in paese.

Alla fine dell'estate del '44 mi accolse un'altra zia a Clusone (val Seriana), dove rimasi un paio di mesi senza notizie dei miei genitori; ero convinta che fossero morti, ma mi piaceva molto la famiglia numerosa in cui mi trovavo (sette cugini) e le nuove suore da cui andavo a scuola.

In realtà il mio papà era entrato nella Resistenza passando alla clandestinità e la mia mamma stava preparando una nuova sistemazione anche per noi, lontana dalle persone che ci conoscevano, per paura di ritorsioni delle autorità fasciste. In novembre ci trasferimmo così a Milano in corso Sempione, ospiti di una parente di parenti, con il cui cognome, Caronni, io iniziai a frequentare la quarta elementare. Poi per ragioni di sicurezza passai ad un'insegnante privata che veniva in casa. La mamma mi spiegò che il papà doveva stare nascosto, anche se non aveva fatto niente di male: più avanti mi avrebbero spiegato tutto. Io accettai la cosa, ma quando mi capitò di vedere un documento falso in cui il papà compariva con baffi e occhiali, dissi che quello non era lui. Un giorno io e la mamma fummo fermate da un agente all'Arco della Pace; ci chiese i documenti ed io scoppiai in un pianto dirotto: non mi sentivo proprio a mio agio nei panni di una clandestina! Quell'inverno avevo solo due vestiti uguali di flanella color carta da zucchero: era quella con cui il mio nonno cappellaio foderava i cappelli! Ne aveva una riserva e con quella erano stati rivestiti anche i miei cugini.

All'inizio del '45 il papà dalla Svizzera venne a Milano per preparare l'insurrezione della città. Un giorno mi fu detto che sarebbe venuto a casa ma io, che giocavo in cortile con i miei amici, non avrei dovuto saltargli al collo: doveva figurare come un conoscente. Fu così che dopo un “buon giorno” con il cuore che mi saltava in gola, rientrai senza dimostrare fretta in casa e potei finalmente riabbracciarlo al riparo delle finestre oscurate con la carta blu! Prima del 25 aprile lo vedemmo qualche volta in strada: ci incrociavamo due o tre volte senza guardarci e, solo quando lui era sicuro di non essere seguito, ci appartavamo in qualche radura del Parco.

Il 25 aprile lo vidi sfilare con gli altri comandanti del Corpo Volontari della Libertà dal balcone di corso Sempione 9. La mia amichetta Franca tentava un saluto fascista ma venne subito fermata. Poi il ritorno a Monza, i primi mesi a casa della nonna che cominciava a trattarmi da grande, assegnandomi incombenze di cui mi sentivo fiera: le esperienze dell'ultimo periodo mi avevano fatta crescere!

In autunno la ripresa della scuola in quinta elementare; ma la mia maestra, che avevo avuto in prima, non mi voleva in classe perché un suo giovane nipote era stato fucilato dai partigiani: ricordo la discussione fra lei e la mamma, poi la maestra dovette riconoscere che la colpa non era né mia né del mio papà ed io potei frequentare l'anno con le mie vecchie compagne, rientrando nella normalità.

Ancora oggi però in casa sono quella che non spreca mai niente, che quando scrive riempie tutto il foglio senza lasciare margini, memore della maestra che già in prima diceva: “bambini la carta è preziosa, non sprechiamola perché saremo costretti a scrivere sui muri!”. Ed io guardavo i muri bianchi della classe con dispiacere.

Rosella Stucchi Isman


in su pagina precedente

 1° marzo 2003